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Foibe, cos'è il Giorno del Ricordo e cosa accadde il 10 febbraio 1947

Foibe cosè il Giorno del Ricordo e cosa accadde il 10 febbraio 1947
Tra il 1943 e il 1947 oltre 10 mila persone furono gettate vive nelle foibe, le cavità carsiche ai confini orientali, o uccise dopo processi sommari dai comunisti di Tito
di Leda Balzarotti e Barbara Miccolupi

Tra il 1943 e il 1947 oltre 10 mila persone furono gettate vive nelle foibe, le cavità carsiche ai confini orientali, o uccise dopo processi sommari dai comunisti di Tito

Il 10 febbraio è il giorno del ricordo di una pagina tra le più cupe della storia contemporanea, avvolta a lungo nel silenzio e nel buio, come le tante vittime, inghiottite nelle cavità carsiche, le cosiddette foibe, per volere del maresciallo Tito e dei suoi partigiani, in nome di una pulizia etnica che doveva annientare la presenza italiana in Istria e Dalmazia. Il 10 febbraio 1947 vennero infatti firmati a Parigi gli accordi di pace che posero idealmente fine alle violenze nel corso delle quali, nei quattro anni precedenti, oltre 10 mila persone furono gettate vive o morte in queste gole. Un genocidio che non teneva conto di età, sesso e religione, riconosciuto ufficialmente nel 2004, con la legge numero 94 che istituì la «Giornata del Ricordo», in memoria dei martiri delle foibe e dell’esodo giuliano dalmata.

La violenza dopo la firma dell’armistizio

La spirale di violenza esplode dopo la firma dell’armistizio, l’8 settembre del 1943: mentre le truppe tedesche assumono il controllo di Trieste, Pola e Fiume, il resto della Venezia Giulia passa nelle mani dei partigiani slavi, che si vendicano contro i fascisti e gli italiani, considerati possibili oppositori del regime comunista e dell’annessionismo jugoslavo. Il 13 settembre 1943, nel comune di Pisino, viene proclamata unilateralmente l’annessione dell’Istria alla Croazia e i partigiani dei Comitati di liberazione improvvisano tribunali che emettono centinaia di condanne a morte. Le persone presenti in questi elenchi vengono arrestate e condotte a Pisino, quindi giustiziate insieme ad altre, di etnia croata: moriranno scaraventati nelle foibe o nelle miniere di bauxite. Secondo le stime più attendibili, le vittime del periodo settembre-ottobre 1943 nella Venezia Giulia sarebbero tra 400 e 600 persone.

Norma, la ragazza che disse «no». Torturata e uccisa

Alcune delle uccisioni sono rimaste impresse nella memoria per la loro efferatezza: valga per tutti il nome di Norma Cossetto, una studentessa istriana che non volle aderire al movimento partigiano e, per questo, venne arrestata e condotta all’ex caserma della Finanza di Parenzo, quindi sottoposta a sevizie di ogni genere. La notte tra il 4 e 5 ottobre del 1943, insieme ad altri prigionieri, fu portata a piedi a Villa Surani e lì gettata, probabilmente ancora viva, in una foiba.

Le ispezioni e i macabri ritrovamenti

Le prime ispezioni delle foibe istriane, disposte dopo il ripiegamento dei partigiani e dopo l’invasione nazista della zona, portano al rinvenimento di centinaia di corpi. La propaganda fascista darà molto risalto ai ritrovamenti e sarà proprio allora che il termine «foibe» inizierà a essere associato agli eccidi, fino a diventarne sinonimo.

Il massacro ripetuto

Il massacro si ripete nella primavera del 1945, quando Trieste, Gorizia e l’Istria vengono occupate dall’esercito di Tito: questa volta le vittime sono soprattutto gli italiani, non solo i fascisti, ma tutte le personalità che avrebbero potuto minare il nuovo ordine comunista, compresi i partigiani, i membri del comitato di liberazione nazionale e tutti i sostenitori della comunità italiana nella Venezia Giulia. Agli occhi di Tito, l’annientamento della presenza italiana nell’area sarebbe stata determinante ai fini delle future trattative sulla delimitazione dei confini fra Italia e Jugoslavia.

Arresti, sparizioni e uccisioni

Dopo la liberazione dall’occupazione tedesca, a partire dal maggio del 1945, nelle province di Gorizia, Trieste, Pola e Fiume il potere passa nelle mani delle forze partigiane jugoslave: ne conseguono arresti, sparizioni e uccisioni di centinaia di persone, alcune delle quali gettate nelle foibe. Le violenze cesseranno solamente dopo la sostituzione dell’amministrazione jugoslava con quella degli alleati, il 12 giugno 1945 a Gorizia e Trieste, e il 20 giugno a Pola. In quest’orrenda pagina della storia recente, le foibe hanno avuto come principale obiettivo quello di occultare gli eccidi di oppositori politici e cittadini italiani, ostacolo all’annessione jugoslava delle zone, come sarà poi confermato dallo stesso Tito, quando il governo di De Gasperi, in possesso di informazioni in merito alla vicenda, chiederà ragione delle migliaia di morti di nazionalità italiana.

La relazione

Nel 2001 verrà pubblicata la relazione della «Commissione storico-culturale italo-slovena», incaricata dal governo italiano e da quello sloveno di mettere a punto una versione condivisa dei rapporti tra i due Paesi fra il 1880 e il 1956. Il rapporto concluderà che «tali avvenimenti si verificarono in un clima di resa dei conti per la violenza fascista e di guerra, e appaiono in larga misura il frutto di un progetto politico preordinato». In tale progetto «confluivano diverse spinte: l’impegno a eliminare soggetti e strutture ricollegabili al fascismo, alla dominazione nazista, al collaborazionismo e allo Stato italiano e, inoltre, anche un disegno di epurazione preventiva di oppositori reali, potenziali o presunti tali, in funzione dell’avvento del regime comunista e dell’annessione della Venezia Giulia al nuovo Stato jugoslavo. L’impulso primo della repressione partì da un movimento rivoluzionario che si stava trasformando in regime, convertendo quindi in violenza di Stato l’animosità nazionale e ideologica diffusa nei quadri partigiani».

L’occupazione e l’esodo degli italiani

Il movente dell’annessione jugoslava è stato particolarmente importante a Gorizia e Trieste, e alla fine della Seconda guerra mondiale Tito farà il possibile per occupare le due città prima di ogni altra forza alleata, per assicurarsi una posizione di forza nelle trattative. E proprio in questi due luoghi, durante l’occupazione slava, diverse migliaia di italiani saranno arrestati, uccisi o deportati nei lager jugoslavi, soprattutto a Borovnica e Lubiana, nell’intento di far credere che gli jugoslavi fossero la maggioranza assoluta della popolazione.

Il dopoguerra, tra imbarazzi e colpe

Trascorso il dopoguerra, la vicenda delle foibe è stata a lungo trascurata dai governi italiani. Secondo lo storico Gianni Oliva questo silenzio italiano e internazionale ha avuto più ragioni: prima di tutto la rottura tra Stalin e Tito avvenuta nel 1948, che spinge tutto il blocco occidentale a stabilire rapporti meno tesi con la Jugoslavia in funzione antisovietica e in secondo luogo l’atteggiamento di un certo Pci, non intenzionato a evidenziare le proprie colpe e contraddizioni in merito alla vicenda.

Napolitano spezza la «congiura del silenzio»

L’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, in occasione del Giorno del Ricordo nel 2007, userà queste parole: «Va ricordato l’imperdonabile orrore contro l’umanità costituito dalle foibe e va ricordata la “congiura del silenzio”, la fase meno drammatica ma ancor più amara e demoralizzante dell’oblio. Anche di quella non dobbiamo tacere, assumendoci la responsabilità dell’aver negato, o teso a ignorare, la verità per pregiudiziali ideologiche e cecità politica, e dell’averla rimossa per calcoli diplomatici e convenienze internazionali».

10 febbraio 2022 (modifica il 10 febbraio 2022 | 14:10)

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