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Rivoluzione ros(s)a. Le Steve Jobs del Chianti all'opera per ...

Rivoluzione rossa Le Steve Jobs del Chianti allopera per
Il "New York Times" in lungo pezzo parla di diverse aziende vitivinicole, in cui vignaiole hanno ereditato l'impresa di famiglia elevandola a nuovi l…

La parola capace di rappresentare il denominatore comune che muove le protagoniste di questo racconto potrebbe essere identificata nel termine “coraggio”. Produttrici di vino che della loro tenacia e passione hanno fatto il successo delle loro aziende e del territorio in cui operano, tanto da attirare l’attenzione del quotidiano americano “The New York Times”, che proprio nei giorni scorsi ha dedicato un articolo, a firma di Eric Asimov, ad alcune viticoltrici della zona del Chianti Classico, protagoniste di quella una vera e propria rivoluzione ros(s)a. In queste ore Huffpost ne ha raggiunte tre.

A catturare l’attenzione del tabloid statunitense sicuramente l’importanza della denominazione che negli ultimi anni ha saputo rilanciarsi e che oggi conquista l’attenzione della grande critica mondiale, ma soprattutto la spiccata caparbietà che anima queste donne che hanno saputo far la differenza e, perché no?, “dar la sveglia” ad un territorio dalle grandi potenzialità che forse nel passato sul suo successo si era un po’ seduto dando per scontato le tante sfide che è necessario vincere oggi per essere competitivi al livello mondiale. In fondo, pensandoci bene, il simbolo del Chianti Classico, il gallo nero, nasce proprio da una sfida leggendaria, quella medioevale tra la Repubblica di Firenze e la senese per il controllo del territorio del Chianti. Una competizione insolita: due cavalieri che partendo all’alba, ognuno dalle rispettive città, al canto del gallo avrebbero dovuto percorrere più strada possibile perché il punto di incontro avrebbe segnato il confine delle due Repubbliche. I senesi scelsero un gallo bianco e lo nutrirono in abbondanza “coccolandolo”, i fiorentini optarono invece per un gallo nero che venne tenuto a digiuno, così all’alba del giorno fissato il gallo di Firenze affamato si svegliò prima e il cavaliere poté partire in anticipo conquistando terreno e riducendo di molto il controllo senese sul territorio chiantigiano. Tensione alla sfida e “fame”, nel senso di filosofia steve jobbiana, appunto. Due stati d’animo che si ritrovano nelle parole delle tre vignaiole delle colline situate nel cuore della regione Toscana.

“Penso che non ci si possa mai sedere sugli allori, è tutto in movimento, la campagna, la natura, il mercato, i paesi produttori” c’è in questa frase di Angela Fronti, dell’azienda “Istine” di Radda in Chianti, la consapevolezza di esperienze passate, ma, soprattutto, la voglia di correre a “perdifiato”, tanto che l’azienda è passata da tremila bottiglie a centomila mila in soli quindici anni, senza tradire mai la sua vocazione di territorio e di qualità.

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Nella foto, Angela Fronti, dell’azienda “Istine” di Radda in Chianti. Credit: courtesy Angela Fronti, foto di Clara Vannucci

Lorenza Sebasti, conduce da trent’anni l’azienda “Castello di Ama” a Gaiole in Chianti, questi giorni si trova a Bruxelles per raccontare i suoi vini, perché come dice spesso Angelo Gaja, uno dei padri nobili del vino italiano “il viticoltore ha la fortuna di avere un piede in vigna e uno nel mondo”. È lei a farci comprendere il significato dell’articolo del quotidiano statunitense: “Nel racconto di Eric Asimov, penna illustre della critica americana, traspare il valore che diamo alla vigna. Non un mero progetto imprenditoriale il nostro, ma la voglia di riportare la terra a rinascere”.

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Nella foto, Lorenza Sebasti, dell’azienda “Castello di Ama”. Credit: courtesy Lorenza Sebasti, foto di Alessandro Moggi

Dello stesso avviso anche Susanna Grassi de “I Fabbri” a Lamole. Ad Huffpost dice: “La denominazione sta crescendo con vini sempre più territoriali, ed è questo ad incuriosire, anche perché la diversità dei prodotti è anche dovuta alla personalità dei produttori ed in questo senso probabilmente ha colpito che dietro tante aziende ora c’è una componente femminile”.

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Nella foto, Susanna Grassi dell'azienda “I Fabbri” a Lamole Credit: courtesy Susanna Grassi

Tre donne, di diversa storia, estrazione sociale, di differente età. C’è Susanna che a trent’anni lascia un lavoro affermato nel settore della moda per rimettere tutto in discussione e prendere in mano l’azienda del padre. C’è Angela che nel 2009 esce con la prima annata di Chianti Classico convincendo definitamente la sua famiglia ad intraprendere la scommessa di competere nel mondo “armati” di bottiglia. C’è Lorenza che nel 1980, dopo essersi persa di ritorno da una festa con degli amici nelle strade che dalla città conducono alla campagna, giunge all’alba tra i suoi vigneti e se ne innamora tanto da farne ragione di vita. 

Ad ascoltarle si comprende quanto questo settore sia avanti sul tema di un’equa rappresentanza che non è sinonimo di quote bloccate, ma di capacità imprenditoriale e di visione e anche, appunto, di coraggio. Tanti i punti comuni su cui si incontrano Lorenza, Angela e Susanna, primo tra tutti la questione di porre attenzione ad un racconto identitario del Chianti Classico, “sfidando” magari il Consorzio a fare un passo in più verso la zonazione, un vero e proprio catasto vinicolo che contenga e narri le variegate caratteristiche pedoclimatiche di un territorio unico. Poi la sostenibilità come motore delle scelte presenti e futuri, una scommessa da vincere su cui il vino ha fatto e fa passi da giganti rispetto a qualsiasi altro settore dell’agricoltura. Spazio poi al valore umano ed artistico del vino che è espressione di incontro tra le potenzialità della terra, la vocazione del luogo, l’attuazione dell’uomo o come in questo caso della donna.

La storia di Angela, Susanna e Lorenza è quella di ambasciatrici di fatto, che sanno raccontare la differenza tra un vino del Chianti e una bottiglia del Chianti Classico (e ahimè a volte purtroppo sono costrette a perderci troppo tempo, ma di questo parleremo un’altra volta), che sanno narrare le potenzialità di un vigneto, della sua esposizione e del suo terreno, che hanno la capacità di guardare lontano senza perdere la cognizione del passato e del presente. In un’epoca di influencer e prospettive di guadagni facili c’è chi gira il mondo, si prende cura del vigneto 365 giorni l’anno, e prova a raccontare una porzione piccola di terra in una bottiglia con un futuro grande che può sfidare il tempo senza alcuna paura. Tre donne capaci di far emozionare e di emozionarsi con le parole e con il vino. 

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