Tim Cook ci racconta il futuro

Mentre stavamo intervistando Tim Cook, Ceo di Apple, mancavano ancora esattamente 121 ore e 40 minuti prima che lui avesse puntati addosso gli occhi di milioni di persone. 121 ore e 40 minuti dopo infatti avrebbe preso il via un suo keynote, appuntamento attesissimo dai fan della Mela. Noi ancora non lo sapevamo, il segreto era molto ben custodito, ma lui sì: 121 ore e 40 minuti dopo avrebbe presentato il nuovo iPad Pro con processore M1, un civettuolo Air-Tag, un aggiornamento di Apple TV 4K , un nuovo iMac, una cover per iPhone 12 di un provocante color porpora. Nel giro di 121 ore e 40 minuti le parole di quest’uomo incredibilmente affabile, che ti guarda negli occhi con la stessa, intatta curiosità di uno studente della primaria, avrebbero rivoluzionato i conti correnti di milioni di compratori compulsivi da Shanghai a Salt Lake City, da Ulan Bator al barrio di San Telmo a Buenos Aires.
Ma intanto lui stava lì davanti a te, in attesa della prima domanda. Capelli brizzolati, curati in modo impeccabile, e sullo sfondo un arredo minimalista: quella certa lampada accesa, quel certo portacandela arancione (però senza candela), tre libri scelti, un bonsai a fare da punto di fuga. L'insieme che sarebbe piaciuto a un pittore di corte per ritrarre un imperatore del ventunesimo secolo.
Juankr
Nelle scuole di giornalismo insegnano a trovare il punto di partenza delle interviste, ma con Tim Cook è difficile decidere un inizio. Forse l’infanzia nell’Alabama rurale degli anni Sessanta? Il suo primo giorno da Ceo di Apple al posto di Steve Jobs, giusto dieci anni fa? Il momento in cui l’azienda ha dovuto confrontarsi con l’orrore della pandemia? Scegliamo un inizio a caso.
Che ricordo ha Tim Cook del suo primo approccio con la tecnologia?
Come per tutti bambini, il primo ricordo della tecnologia è un gioco. Mi viene in mente il giorno in cui uscirono certi videogiochi che imitavano una partita di pingpong, e anche il ricordo di un vecchio Commodore. All’epoca mi fece davvero impressione. Era all’università, la prima volta che ho visto un personal computer. Sono stati due momenti che hanno segnato fortemente la mia vita.
È stato cresciuto in un ambiente dove la tecnologia contava?
No, assolutamente. Sono cresciuto in un ambiente rurale, e ho studiato in una università pubblica. La cosa più prossima alla tecnologia era una macchina per scrivere. Allora non avevo nessuna idea di quanto sarebbe stato importante nella mia vita saper usare una tastiera.
In un ambiente come quello, come si forma un futuro ingegnere?
La matematica mi appassionava già da piccolo. Ero uno dei rari casi di bambini che durante l’ora di matematica si divertiva. E adoravo stare con gli altri. Così, alla lunga ho capito che l’ingegneria industriale era il miglior modo per lasciare briglia sciolta alle mie due grandi vocazioni: i numeri e i rapporti umani.
Sono dieci anni giusti da un altro importante inizio della sua vita: il giorno in cui ha assunto il comando di Apple. Com’è stato il primo giorno nell’ufficio di uno degli uomini più osservati del pianeta?
Ce l’ho scolpito nella memoria. È stato un giorno di sentimenti contrastanti: assumere una responsabilità così importante, però sapendo che era perché Steve non aveva l'energia necessaria per continuare. Avevo sempre pensato che lungo il periodo in cui fossi rimasto in Apple lui sarebbe rimasto in azienda, magari come presidente. E invece quello non poteva più essere possibile. È stato un giorno pieno di chiaroscuri.
Le ha dato qualche consiglio per affrontare quel debutto?
Quando mi chiamò per offrirmi di succedergli, mi raccontò una storia a proposito di Disney. Mi disse che per molto tempo, dopo la morte di Walt, i dirigenti dell'azienda si riunivano per prendere le decisioni chiedendosi “che cosa avrebbe fatto Walt Disney in questo caso”. E Steve mi disse: «Tim, io non voglio che accada questo in Apple. Non voglio che tu ti chieda ogni volta che cosa avrei fatto io». Con quel consiglio molto semplice, mi tolse un gran peso. In tutti questi dieci anni, non ho mai smesso di pensare a quelle parole.
A 50 anni un essere umano diventa più conservatore, meno idealista. Succede lo stesso anche alle imprese?
Apple di anni ne ha appena compiuti 45. Credo che a questa età molte imprese corrano il rischio di invecchiare, certo. Però qui non succederà. Basta vedere il percorso aziendale e la nostra ossessione per l'innovazione. Oggi manteniamo intatto lo spirito degli anni Settanta e così faremo nel 2050. Assumiamo solo gente che condivida questa passione di cambiare il mondo con ogni singolo prodotto. È il nostro segreto.
Dieci anni dopo, continua ad andare al lavoro con la stessa identica energia del primo giorno?
Me la dà il mio team. Ogni giorno è un privilegio lavorare con loro e imparare. Anche se, ovvio... durante l'ultimo anno si è trattato piuttosto di connettersi con la loro versione bidimensionale, dall'altra parte di uno schermo.
Provi a citarmi un paio di successi e un paio di fallimenti di questo decennio da amministratore delegato.
Sono molto orgoglioso di come la compagnia si è adattata a tutto quello che è successo in questi dieci anni. Pensi alla quantità di nuove idee che abbiamo sviluppato, alla incredibile varietà degli iPhone, alle prestazioni ogni volta più avanzate. Ha notato, tanto per fare un esempio, tutto quello che comporta una cosa come il Face ID? Come fosse una cosa del tutto normale metti la faccia davanti al tuo dispositivo perché ti riconosca, e invece è qualcosa di miracoloso. Oppure, l’Apple Watch. Chi l’avrebbe detto che avresti potuto monitorare la salute del tuo cuore grazie a un orologio?
E gli insuccessi, invece?
Faccio tutti i giorni una quantità di errori. Sarebbe una lista interminabile.
Non vuole citarne almeno uno?
Non ci basterebbe il tempo... Per fortuna abbiamo la capacità di correggere la rotta. Io lo faccio ogni giorno.
Terzo inizio. Il nuovo mondo in cui ci ha scaraventati la pandemia. Su di lei che effetti ha avuto?
Noi che siamo qui dobbiamo essere consapevoli di quanto siamo privilegiati. Abbiamo continuato a essere sani, stiamo lavorando. Mi ha impressionato essere testimone della sofferenza, delle morti, del dolore... constatare che ci sono sacche di popolazione svantaggiate cui tutto questo ha causato molti più danni che agli altri. E il mio pensiero va a loro, davvero.
Juankr
In che cosa è cambiata Apple con la pandemia?
Fin dal primo momento abbiamo cercato di capire che cosa poteva fare un'azienda come la nostra per cercare di essere di aiuto. Adesso sembra difficile da ricordare, però le necessità sul momento erano veramente basiche: servivano dispositivi di sicurezza, schermi protettivi... E noi avevamo chi poteva progettarli. Dedichiamo buona parte delle nostre risorse a fabbricare dispositivi di protezione e li esportiamo in tutto il mondo. Poi lavoriamo con Google per creare applicazioni di monitoraggio dei contagi e a migliorare i test diagnostici.
Quando tutto questo sarà passato, che cosa ci mancherà del mondo pre-Covid?
Abbiamo imparato a vivere in modo diverso grazie alla tecnologia. I computer ci hanno aiutati a essere più vicini anche a distanza, e i bambini hanno imparato a stare a scuola anche attraverso uno schermo. Però la tecnologia non sostituirà mai il rapporto umano. Quando saremo vicini alla fine di tutto questo e potremo abbracciarci senza problemi, quello sarà un gran giorno.
Che cosa ha imparato Tim Cook dalla peggior pandemia della storia recente?
Tutti abbiamo imparato che questo genere di crisi non colpisce mai allo stesso modo, che i più sfavoriti sono sempre i più svantaggiati. Dobbiamo costruire una società più giusta e più empatica. Ma ci sono valori fondamentali di questa società che non si devono perdere. Senta, sono anni che facciamo una cosa molto semplice come comperare prodotti online e aspettare a casa che qualcuno ce li porti. Non so se succede anche a lei, però io da quando è successo tutto quello che è successo, apprezzo sempre di più il lavoro di queste persone.
È un difensore del trovarsi in presenza...
Noi stiamo parlando molto piacevolmente attraverso uno schermo, però questa conversazione sarebbe molto più gradevole se fossimo seduti l’uno di fronte all'altro.
E tuttavia producete apparecchi per un mondo di telepresenza. L'Apple Watch, per esempio. Ora puoi farti un elettrocardiogramma senza bisogno di andare dal medico. Che prima ti toccava, ti palpava, o ti misurava la temperatura mettendoti una mano sulla fronte. Quella non era forse una cosa più umana?
Ciò che stiamo facendo con questo strumento è una rivoluzione prima impensabile. Le patologie cardiache sono una delle cause di morte più diffuse al mondo. Ora invece si può misurare la salute del cuore con un orologio che porti sempre con te. L'elettrocardiogramma è roba poco comune per la maggior parte della gente. Pochi arrivano a farsene uno nel corso della vita. Adesso puoi fartelo quando vuoi, ma non per sostituire il rapporto con il medico, direi proprio per il contrario: per rafforzare la posizione del paziente e dare al dottore più strumenti. In questa direzione stiamo sviluppando cose veramente incredibili. Non posso anticipare niente, però è certo che per quanto riguarda la salute abbiamo in preparazione delle applicazioni pazzesche.
Una delle sue ossessioni da quando è Ceo di Apple è la privacy. È arrivato a dire che il rispetto dei dati personali dovrebbe essere riconosciuto come “diritto dell'uomo”.
Sì. La privacy dovrebbe essere annoverata tra i diritti fondamentali. In un mondo in cui ti senti perennemente osservato, in cui hai la sensazione di avere sempre qualcuno che da dietro le spalle vuol vedere cosa stai cercando su Internet e che, se ti sposti da un luogo all'altro, è lì che traccia il tuo percorso di navigazione, registrando i tuoi acquisti, quello che ti piace e quello che no... Ecco, in un mondo simile la gente incomincia a fare meno cose, a pensare meno, a esprimersi di meno. E questo non è un mondo in cui mi piace vivere. Alla Apple crediamo che i dati siano solo tuoi. Tu e soltanto tu devi decidere che cosa farne.
Così a una delle imprese tecnologiche più importanti del mondo non interesserebbero i miei dati?
A noi interessa che tu ne sia il padrone. E siamo costantemente impegnati a sviluppare funzioni che lo dimostrino. Come le Privacy Nutrition Labels (un framework informativo lanciato con iOS 14.3, ndr). Una funzione che quando fai acquisti su Apple Store permette di sapere che tipo di dati interessa a ogni singola applicazione e perché li chiede. E tu decidi se proseguire oppure no. Con i nuovi sistemi operativi abbiamo anche sviluppato la funzione App Tracking Transparency, che obbliga gli sviluppatori a chiederti il permesso di monitorarti su app e siti terzi con scopi pubblicitari. Ogni dispositivo e app su Apple Store come requisito deve dare all'utente il potere di decidere che si può fare con i suoi dati personali.
C'è chi dice che per motivi di sicurezza è bene che i nostri dati siano tracciabili.
La privacy e la sicurezza vanno di pari passo. Se non c'è l'una non c'è nemmeno l'altra. Tutti dati che gestisci con il tuo iPhone sono criptati e Apple non può decriptarli. Noi ci siamo ritirati deliberatamente da questa equazione. Il telefono oggi contiene molte più informazioni personali di casa tua: sa in ogni momento che cosa stai cercando, è al corrente del tuo stato di salute, dei tuoi codici bancari, delle tue conversazioni e dei tuoi contatti. A noi non interessa assolutamente sapere tutto questo di te.
Però la privacy è una specie di contratto. Io mostro al mio medico cose del mio corpo che nessun altro conosce...
Tu puoi prendere la decisione di condividere con il tuo medico quello che credi. Però non vuoi farlo con tutti. E meno che mai con un'azienda che non conosci.
Di questi tempi non le pare che la gente non badi più tanto ai propri dati, alla propria privacy? Come se avessimo già abbastanza problemi per preoccuparci anche di quello.
Certamente, la privacy è un concetto in crisi. E non possiamo permettere che i gravi problemi che ci affliggono in questo momento ci facciano perdere di vista quanto è importante difenderla. Il costo di non garantire questo diritto fondamentale può essere terribile. Ci porterebbe a una società dove non fa piacere vivere.
E la minaccia più grande arriva dai governi, dalle imprese, dalle pubblicità, da chi ci sta vicino.
Gli attacchi alla privacy arrivano da tutte le parti. A volte da altre imprese. La pubblicità digitale è uno strumento fantastico, per esempio, ma la pubblicità digitale nel tuo profilo personale, che non vuoi condividere, non è una buona idea. Occorre rivedere alcune regole in proposito.
È necessaria una regolamentazione internazionale per la difesa della privacy?
Senza dubbio. L’Europa ha fatto un enorme lavoro con la Gdpr (General Data Protection Regulation, ndr). Spero che tutto il mondo prenda nota e si stabilisca una normativa globale per l’uso corretto dei dati personali.
Un’altra delle sue ossessioni ad Apple è che l’azienda sia un esempio di difesa delle pari opportunità. Perché proprio ora?
Credo che, quanto alle differenze di genere, siamo all’alba di una nuova era. Ed è qualcosa che personalmente mi preoccupa in modo particolare. Quando penso alla mia infanzia e ai miei punti di riferimento culturali, ricordo che allora sono stati due i grandi avvenimenti destinati a segnare le nostre vite, e che logicamente io non avevo ancora l’età per comprendere. Nel pieno degli anni Sessanta si è prodotta una rivoluzione sociale. Uno di quegli avvenimenti fu la marcia su Washington capeggiata dal progressista John Lewis e da Martin Luther King, nel 1963. L’altro avrebbe avuto un impatto determinante sulla mia vita personale: i disordini di Stonewall, a New York (nel 1969, ndr), uno spartiacque, che cambiò direzione alla lotta per i diritti Lgbt. Avevo sette anni. E sinceramente credo che ora si stia attraversando un momento molto simile.
L’assassinio di George Floyd ha creato il clima per scendere in strada e protestare, e ha permesso al mondo di fermarsi un momento a pensare fino a che punto il razzismo sistematico abbia preso piede nella nostra società. La miccia innescata negli Stati Uniti si è propagata in tutto il mondo e ha segnalato un problema presente allo stesso modo in troppi luoghi. I cambiamenti avvengono quando uno meno se lo aspetta. Hanno bisogno di molto tempo per maturare e poi d’un tratto ecco la scintilla definitiva. E adesso è il momento. Sono convinto che il risultato sarà trovarci a vivere in una società più egualitaria in cui sentirci tutti più orgogliosi e più ispirati.
E la tecnologia, può essere il motore di questo cambiamento?
Naturalmente. C’è una cosa che accade ora e che non accadeva negli anni Sessanta. Oggi tutti abbiamo in tasca un apparecchio fotografico. Molti fatti che prima non si potevano documentare, oggi avvengono davanti agli occhi di migliaia di testimoni. Non c’è nulla di meglio di una sequenza video per farti riflettere o per impedire che qualcuno possa dire che certe ingiustizie non esistono. Il mondo connesso è un mondo più veloce. Quello che succede in un Paese ha una eco immediata dall’altra parte del pianeta. La tecnologia è una delle chiavi di questo cambiamento.
Juankr
Sul filo di questa idea... Da qualche parte ho letto di recente che l’assalto a Capitol Hill è stato il crimine più documentato della storia. Ci sono 15mila ore di immagini video registrate, e più di 15mila telefonini che le hanno trasmesse in diretta. Crede questo ci renda veramente una società più informata, più trasparente e più giusta?
È una buona domanda. Una cosa che i mezzi di comunicazione possono fare per noi è sgomberare la strada in direzione dei fatti. Se guardiamo l’assalto a Capitol Hill ci sono tante di quelle ore di video, e tanta di quella documentazione, che risulta abbastanza facile ricostruire ciò che è successo e quando. Credo che in casi simili il rischio di un eccesso di informazione non esista. Tutti abbiamo l’opportunità di vedere che cosa è stato, tutti possiamo e dobbiamo farci un’idea chiara degli accadimenti di quel giorno. È stata una delle peggiori giornate della storia americana. Penso che i mezzi di comunicazione abbiano fatto un lavoro veramente buono nel verificare che vedessimo le cose come sono andate realmente. Se a volte si ha la sensazione di una sovrabbondanza di informazioni, però alla lunga i media continuano a svolgere il ruolo che gli spetta in una democrazia: sorvegliare ciò che i cittadini, le istituzioni e i governi fanno.
Con lei Apple ha messo in moto alcune iniziative molto acclamate in difesa dei diritti sociali.
Sono molto orgoglioso del lavoro che stiamo facendo per le pari opportunità e la giustizia. Abbiamo sviluppato un programma da 100 milioni di dollari dopo la morte di George Floyd, a favore dell'uguaglianza razziale. Stiamo riflettendo su quale potrebbe essere la maniera migliore per dare impulso a un cambio definitivo in questa direzione, e abbiamo deciso che la cosa da fare fosse lavorare sull’istruzione. Senza un'istruzione di qualità per tutti, la gente non può che incominciare la propria esistenza da posizioni molto diverse, con troppi vantaggi destinati a pochi. Tanto che stiamo iniziando a sviluppare programmi come quello degli investimenti in università storicamente nere, con fondi destinati a temi quali imprenditoria, intelligenza artificiale, machine learning e molte altre tecnologie chiave per il futuro. Abbiamo avviato una scuola per sviluppatori per incrementare la formazione di persone appartenenti a gruppi sottorappresentati. E anche programmi di appoggio all’imprenditoria femminile.
E tutto questo per i cittadini Usa?
No. Lavoriamo anche in altre parti del mondo. Per esempio, in Italia abbiamo una scuola di sviluppatori.
Come vede dagli Stati Uniti la vecchia Europa, con tutti i problemi che ha in questo momento, Brexit, estremismi, crisi?
È talmente interessante l’Europa. L’idea che ogni Paese conservi la sua cultura, la sua lingua, la sua grande diversità... C’è qualcosa di profondo in Europa che il resto del mondo dovrebbe imparare: come tradizioni, culture, costumi e idee politiche così diverse riescano a mantenere una unità coerente. E da questo c’è molto da apprendere.
Anche l'Europa ha qualcosa da insegnare riguardo allo sviluppo della tecnologia?
Sa una cosa? Quando sono in Europa ci sono volte in cui nell’ambito dell’industria delle app osservo iniziative che mi commuovono. Apple conta circa 1,8 milioni di dipendenti nel continente. La maggior parte di loro si dedica all’industria delle applicazioni, e ogni giorno mi confronto con qualche idea europea che sta trasformando questo ambito.
Una in concreto?
Posso citare, per esempio, un progetto tedesco che si chiama Endel e che ha l’ambizione di portare l’esperienza della mindfulness su dispositivi come l’Apple Watch. Sono stati generati scenari sonori che, sulla base di studi neurologici, aiutano a meditare. Mi entusiasma vedere i risultati unici di molti Paesi europei.
Qual è l'applicazione che usa più spesso?
Sicuramente la Mail di Apple. In azienda la usiamo tantissimo per comunicare tra noi e io anche per ricevere centinaia di messaggi di clienti. Uso la mail più di qualunque altra cosa del telefono o dell’iPad.
L'ultimo pezzo di musica che ha ascoltato.
L'ultimo? Proprio prima di questa intervista stavo ascoltando Ludovico Einaudi. Un pianista che adoro.
Un libro che sta leggendo.
The Hardest Job in the World, un libro di John Dickerson sul lavoro di presidente degli Stati Uniti.
Il suo esercizio preferito in palestra.
Allenamento di forza. Lo pratico quattro giorni a settimana.
Il posto del mondo che sceglierebbe se dovesse decidere di scappare.
La Spagna.
Qualcuno che sarà felice di abbracciare a pandemia finita.
Mio nipote!
L'ultima volta che ha pianto.
L'ultima volta che ho pianto? Probabilmente quando mi sono reso conto che la pandemia sarebbe stata molto peggio di quello che si pensava all'inizio. In principio ho creduto che sarebbe durata qualche settimana, poi però mi sono reso conto che no, non sarebbe stata rapida come avremmo voluto.
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