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Franco Zeffirelli, Rigoletto in Oman è l'ultimo spettacolo del maestro: «La scenografia lascia a bocca aperta»

Franco Zeffirelli Rigoletto in Oman è lultimo spettacolo del maestro La scenografia lascia a bocca aperta
A Muskat gli storici collaboratori del celebre regista mettono in scena la sua quarta edizione del capolavoro verdiano, per il quale aveva preparato quattro bozzetti e dato indicazioni. Jan Latham-Koenig dirige Orchestra e Coro dell’Arena di Verona
di Valerio Cappelli

A Muskat gli storici collaboratori del celebre regista mettono in scena la sua quarta edizione del capolavoro verdiano, per il quale aveva preparato quattro bozzetti e dato indicazioni. Jan Latham-Koenig dirige Orchestra e Coro dell’Arena di Verona

Franco Zeffirelli, Rigoletto in Oman è l'ultimo spettacolo del maestro: «La scenografia lascia a bocca aperta»Franco Zeffirelli, Rigoletto in Oman è l'ultimo spettacolo del maestro: «La scenografia lascia a bocca aperta»

E’ l’ultima produzione del maestro. Franco Zeffirelli ha lasciato quattro bozzetti del Rigoletto, e una serie di indicazioni a Stefano Trespidi, che fu suo assistente dal 2002 fino alla scomparsa, nel 2019: «Mi mostrava le foto di Olivia Hussey, che l’aveva voluta nel film Romeo e Giulietta, diceva che Gilda deve avere la stessa purezza e innocenza».

Rigoletto andrà in scena in prima mondiale il 20 gennaio in Oman, alla Royal Opera House di Muscat (il 28 su Rai 5), il teatro che lo stesso Zeffirelli aveva inaugurato nel 2011 con Turandot. Sul podio Jan Latham-Koenig: «Il mio primo Rigoletto lo vidi con la sua regia al Covent Garden nel ‘64, cantava Luciano Pavarotti»). Orchestra e Coro dell’Arena di Verona (coproduttore dello spettacolo) con partecipazione del coro locale.

Nel cast Ambrogio Maestri (il baritono celebre per Falstaff, ma non nuovo come Rigoletto, è subentrato a Leo Nucci), Giuliana Gianfaldoni, Dmitry Korchak, Riccardo Zanellato e Yulia Mazurova.

Lo spettacolo combina lo sfarzo, che è stato il marchio di fabbrica del grande regista, e l’aspetto intimo (che più di quanto si pensi Zeffirelli assecondava), nella duplicità del rapporto tra Rigoletto e sua figlia Gilda. «Franco vedeva il buffone di corte come un padre padrone, vuol proteggere la figlia ma nel modo sbagliato, è violento perché ferito dalla vita, è consapevole delle cattiverie del mondo, che lui alimenta». Lo sfarzo è nelle colonne istoriate del palazzo ducale del primo atto, e nel finale, nel relitto di una nave sul Mincio che simboleggia la distruzione. Poi ci sono le stanze del duca e il cortile della casa di Gilda, con un passaggio segreto per favorire il suo amante sbagliato che dà l’idea della sua costrizione. «Nella prima immagine è come se i personaggi uscissero da un quadro, la scenografia lascia a bocca aperta».

I colori sono l’oro del palazzo e il nero della notte, mentre i costumi di Maurizio Millenotti, due nomination all’Oscar per Otello e Amleto, entrambi film di Zeffirelli, si rifanno all’idea del bello rinascimentale coltivato nella loro etstetica. Ambientazione storica, naturalmente nessuna attualizzazione, e «una dimensione epica».

Il quarto Rigoletto di Franco (dopo Genova, 1957), Londra e Trieste ha avuto una lunga genesi. «Il progetto loi niziò, poi lo interruppe e infine lo riprese, ma non fece in tempo a rappresentarlo». Doveva andare in scena nel 2010 all’Arena ma lui optò per Turandot. Negli ultimi tempi Zeffirelli non riusciva a parlare per le conseguenze di lontane operazioni non andate bene. «Comunicavamo con lo sguardo», ricorda Trespidi, «era un rapporto emotivo, ma dallo sguardo capivo le sue intenzioni. Fino all’ultimo ha mantenuto la vitalità del pensiero». Umberto Fanni è direttore generale del Teatro di Muscat, l’unico del Golfo Persico, che combina gusto arabeggiante e architettura di un teatro con i palchi, all’italiana, marmo di Carrara e legno della Malesia e dell’Oman.

Lo fece costruire il sultano Qaboos Al Said Bin Said, cinquant’anni di regno fino alla scomparsa nel 2020. Suo cugino Hitam Bin Tariq ereditò potere e passione per l’opera (ma si fa anche jazz e musica araba), ospitando molte produzioni italiane, tanto che dieci nostre Fondazioni liriche, oltre al Rossini Opera Festival, vi sono andate in tournée. Un teatro avanzato tecnologicamente, in mezz’ora può convertirsi in un secondo set per la sinfonica. Alcuni titoli, per via della religione, non si possono mettere in scena, niente nudi (in Occidente non fanno più scandalo da anni) e quando c’è La Traviata nel brindisi niente bollicine, «si fa con l’acqua».

Poco più grande dell’Italia, con una popolazione di 4 milioni di abitanti per gran parte musulmani «miti e con una certa apertura», l’Oman si sta costruendo una tradizione lirica, con 50 eventi l’anno, il pubblico non è soltanto da «corte reale»: «I biglietti sono popolari, si vada dal corrispettivo di 8 euro per giovani e anziani, a 120».

C’è anche la mostra su Zeffirelli curata da Pippo Corsi, il figlio adottivo che oggi ha 73 anni e a Firenze manda avanti la Fondazione col nome del regista: «La mostra ripercorre allestimenti di cinque teatri, Scala, New York, Londra Arena di Verone e Muscat. Quaranta riproduzioni di bozzetti, un centinaio di disegni, costumi, spartiti e libri. Franco era convinto che la musica stabilisse connessioni e ponti nel mondo. Sono felice e orgoglioso che la ricca eredità del maestro contribuisca a far vivere e rafforzare i legami culturali tra Italia e Oman».

Zeffirelli è morto a 96 anni. Era segnato nel fisico, una vecchiaia artisticamente fertile ma complicata. «Fino all’ultimo», dice Pippo Corsi pieno di tenerezza e gratitudine, «non voleva mollare e ha continuato ad avere progetti».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

15 gennaio 2022 (modifica il 15 gennaio 2022 | 21:25)

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